Le Orecchiette sono un formato di pasta fresca tradizionale di fattura casalinga ottenuta da semola di grano duro o da farina tipo 0, in Puglia anche con una percentuale di farina di grano arso. Le classiche si ottengono da cilindretti di impasto intorno al centimetro e mezzo, che si trascinano sulla spianatoia con la punta arrotondata di un coltello o con un attrezzo chiamato, nel Barese, sferre; la conchiglietta ottenuta, capovolta sulla punta di un dito, si presenta come un piccolo orecchio con la superficie esterna rugosa. In Puglia, la regione in cui sono più diffuse tanto da meritare nomi diversi da provincia a provincia: strascenate, chiancarelle, stagghiodde, recchietedde, recchie de prevete, fenescecchie, per citare la nomenclatura più diffusa, si confezionano anche orecchiette più grandi pociacche, pestazzuole.
Questo piatto simbolo della Puglia ha però delle origini contrastanti, pensate che alcune ipotesi ci portano addirittura fuori confine fino alla Francia. Secondo alcuni storici infatti le orecchiette sarebbero nate in Provenza nel Medioevo, qui si usava preparare una pasta a base di grano duro a forma di disco incavato al centro. La forma aiutava anche l’essicazione della pasta che era dunque ideale per essere portata come sostentamento nei lunghi viaggi in mare aperto. L’arrivo in Italia sarebbe avvenuto grazie agli Angioini, che nel 200 dominavano Puglia e Basilicata che avrebbero portato anche il grano duro.
Un’altra tesi invece fa risalire le orecchiette alla cittadina di Sannicandro di Bari durante la dominazione normanno-sveva. Qui fra il XII e il XIII secolo si era formata una comunità ebraica che aveva unito la propria cucina con quella del popolo dominante. Proprio nella tradizione ebraica infatti ci sono le orecchie Haman: dei dolci a forma tonda e concava che ricordano proprio le odierne orecchiette.
Addirittura nel lontano 500, negli archivi della chiesa di San Nicola di Bari fu ritrovato un documento con il quale un padre tramandava il panificio alla figlia, mettendo in evidenza di averle lasciato in dote l’abilità di preparare bene le orecchiette alle cime di rapa.
Nella zona di Taranto e in Valle d’Itria troviamo le “chiancarelle”, “chianchierelle”, “recchie” o “recchietedde”. Si tratta di una pasta della dimensione di una punta di polpastrello che ha la forma di una piccola cupola, più sottile e liscia al centro e più spessa e ruvida ai bordi. Le recchietedde sono orecchiette molto piccole, utilizzate per il brodo di carne, mentre il formato più grande prende anche il nome di “paciacche”.
Un altro modo per chiamare le orecchiette è “strascinati”, anche se sull’argomento esiste una vera e propria diatriba culinaria. A Cisternino, le orecchiette hanno una forma più grande e prendono il nome di “recch’ d’privt” ovvero “orecchie del prete”. La ricetta tradizionale dei giorni di festa le vuole preparate con il ragù di coniglio. La ricetta tipica delle orecchiette pugliesi è quella con le cime di rapa, anche se esistono tanti altri modi di cucinarle.
In Salento e nel barese, uno di questi è condirle con sugo di pomodoro fresco e ricotta dura o con il ragù di carne o ancora con il sugo delle brasciole o delle polpette.
Secondo i puristi della tradizione gastronomica pugliese, gli strascinati sarebbero cosa ben diversa dalle orecchiette. Mentre queste ultime hanno la forma di piccoli cappelli tondeggianti ottenuti rivoltando l’impasto con il polpastrello, gli strascinati si preparano con il coltello, semplicemente trascinando l’impasto su una spianatoia di legno.
Lo scrittore napoletano Giambattista Del Tufo nel 1500 cita questa pasta come originaria di Bari. Attorno alla fine del ‘500, negli archivi della chiesa di San Nicola di Bari, fu ritrovato un documento che attestava la donazione di un panificio da un padre alla figlia. Nell’atto notarile era scritto che la cosa più importante lasciata in dote matrimoniale era l’abilità della figlia a preparare le “recchietedde”.
Secondo antiche usanze, le orecchiette avevano anche un potere predittivo. Non a caso venivano anche utilizzate dalle future mamme per prevedere il sesso del nascituro, attraverso un semplice “rituale”: in una pentola d’acqua venivano gettati un’orecchietta e uno zito. Se, al momento del bollore, fosse salita in superficie prima l’orecchietta il nascituro sarebbe stato una femmina, al contrario si avrebbe avuto un maschietto.
L’origine delle Orecchiette non è attestata da nessun documento storico, tuttavia possiamo prendere come riferimento un testo di Varrone, il poeta latino che visse tra il 116 e il 27 a.C., il quale parlò di un tipo di pasta molto simile alle nostre orecchiette. Conosciute con il nome di “lixulae”, questa tipologia di pasta era, infatti, caratterizzata da una forma tondeggiante e da un interno concavo, proprio come le attuali orecchiette.
Per quanto riguarda l’appartenenza di questo tipo di pasta alla tradizione pugliese, invece, possiamo riferirci a un’opera dello scrittore napoletano Giambattista del Tufo, nel 1500. L’autore, esperto degli usi e costumi dell’Italia Meridionale, parlando delle così dette “strascinate e maccheroni incavati di Bari”, assegna l’appartenenza delle orecchiette proprio al capoluogo pugliese.
Inoltre, è sempre nel 1500 che viene ritrovato, all’interno degli archivi della chiesa di San Nicola di Bari, un documento di cessione di un panificio. In questo atto notarile, si può leggere di come il proprietario del panificio in questione nel cedere l’attività alla figlia, indicasse come dote matrimoniale di quest’ultima quella di preparare le famose “recchjetedde”.